L’Europa e Putin: il grande gioco del gas

Nord Stream 2: il nuovo governo tedesco, prima Baerbock, poi Scholz e infine Habeck, hanno ripetuto che il gasdotto non può diventare operativo perché non rispetta le regole della concorrenza vigenti nell’Ue

E se fossero i funzionari di Bruxelles e Berlino, con la benevola negligenza del governo tedesco, a dare scacco matto a Vladimir Putin, affondandone il progetto strategico che più gli sta a cuore, cioè il gasdotto Nord Stream 2? Sembrava fatta ancora un mese fa, per la pipeline russo-tedesca che corre sotto il Mar Baltico aggirando l’Ucraina e che, una volta a regime, renderebbe il leader del Cremlino il vero dominus delle forniture energetiche europee. Sembrava che Putin avesse vinto la partita, dopo che in maggio Joe Biden, in nome dell’alleanza con Berlino, aveva deciso di non rinnovare le sanzioni extraterritoriali contro le imprese che partecipavano al progetto, aprendo così la strada al completamento della struttura durante l’estate. Sembrava che la certificazione dell’Autorità tedesca per le reti e il successivo esame della Commissione europea, fossero soltanto due passaggi solo formali.

Certo, qualche piccolo ostacolo c’era, per via della legislazione comunitaria, cui è sottoposto un gasdotto che entra nel territorio dell’Ue. E che impone fra le altre cose il cosiddetto «unbundling», cioè la netta separazione fra la compagnia che produce, quella che trasporta e quella che distribuisce il gas. Cioè l’opposto di quello che fa Gazprom, il monopolista di Stato russo. Così, il 16 novembre scorso la Bundesnetzagentur aveva sospeso la certificazione di Nord Stream AG, la società che opera l’impianto, poiché non è sottoposta al diritto comunitario, avendo sede legale in Svizzera. Eppure, sembrava solo un inciampo trascurabile e risolvibile: la voce era che i regolatori si sarebbero accontentati di una compagnia sussidiaria creata ad hoc da Gazprom in Germania e destinata a gestire la parte tedesca di Nord Stream 2.

Poi però sono successe due cose. La prima è che a Berlino si è insediato un nuovo governo federale, sotto il cancelliere Olaf Scholz, con i socialdemocratici, i liberali e soprattutto i verdi, che da sempre hanno osteggiato il gasdotto. La seconda è che la crisi tra Ucraina e Russia si è di nuovo aggravata, di fronte alla minaccia vera o presunta di invasione militare da parte di Putin.

Questo scenario di guerra ha spinto Scholz e la neoministra degli Esteri, Annalena Baerbock a stabilire per la prima volta un «linkage» tra la crisi ucraina e il Nord Stream 2, come richiesto dagli alleati americani: se la Russia dovesse violare l’integrità territoriale di Kiev, il gasdotto verrebbe definitivamente bloccato. Il concetto è stato ribadito ieri dal vicecancelliere, il verde Robert Habeck, secondo il quale di fronte a un’aggressione «nulla sarebbe più impensabile» quanto alle conseguenze.

Ma il fatto nuovo non è solo o tanto l’eventuale reazione a un (improbabile) atto di guerra di Putin. Adesso si capisce perché nelle 177 pagine dell’accordo di governo tra Spd, Fdp e Verdi, il Nord Stream 2 non viene neppure citato. In realtà, è l’argomento giuridico formale ad aver messo d’accordo il nuovo governo di Berlino, offrendo a tutti i partner una motivazione in apparenza asettica. Prima Baerbock, poi Scholz e ieri infine Habeck hanno ripetuto che il gasdotto non può diventare operativo perché non rispetta le regole della concorrenza vigenti nell’Ue. Un capolavoro di astuzia, quello di Scholz, che di questo e di altri temi come la Riforma del Patto di stabilità parlerà oggi a Roma con Mario Draghi: «Si tratta di un progetto economico privato e deve rispettare il diritto comunitario. Su questo decide in modo del tutto non politico un’autorità tedesca». In una sola frase, il nuovo cancelliere ha mandato in aria un pezzo di Ostpolitik voluta dal suo compagno di partito Gerhard Schröder e sedici anni di rifiuti da parte di Angela Merkel a mettere in discussione il progetto.

Concretamente, la Bundesnetzagentur ha già messo le mani avanti dicendo che sul trasporto del gas non potrà decidere prima della metà del prossimo anno. Poi toccherà agli omini di Bruxelles fare la loro revisione della procedura e anche quella richiederà tempo. Come si diceva all’inizio, sono codici e pandette dell’Unione europea che stanno dando il primo scacco matto a Vladimir Putin. Vedremo quale sarà la sua prossima mossa.

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