Le tante sfide lanciate da Putin all’Europa

Nemmeno nel più bello dei suoi sogni Vladimir Putin avrebbe potuto immaginare un Occidente distratto e confuso come quello di oggi. L’America è lacerata dalle sue contrapposizioni interne e ha un Presidente che non è riuscito a risalire la china dopo l’onta di Kabul. La Germania ha un nuovo governo che deve ancora definire sul campo i suoi orientamenti. La Francia è immersa in una campagna elettorale per l’Eliseo che si annuncia rischiosa anche per Macron. L’Italia, lo sappiamo bene, è alla vigilia di scelte istituzionali difficili. La Gran Bretagna paga cara la Brexit. L’Europa di Bruxelles è divisa più che mai. L’Occidente, insomma, attraversa una di quelle fasi di incertezza e di debolezza che inevitabilmente si ripercuotono sulle scelte strategiche, o sulle risposte alle scelte strategiche altrui. Non è escluso, anzi è probabile, che Putin abbia voluto sfruttare questo stato di cose quando ha inviato più di centomila uomini al confine con l’Ucraina, esigendo da Joe Biden, che per lui è l’unico Occidente che conta, un virtuale smantellamento della Nato in tutta l’Europa orientale. Soltanto così, avverte il Cremlino, rimettendo in discussione per la prima volta dopo il crollo dell’Urss l’architettura della sicurezza europea, e sottoscrivendo di fatto una nuova versione delle intese di Yalta del febbraio ‘45, le divisioni russe torneranno in caserma e l’Ucraina sarà risparmiata. Putin ha dimostrato altre volte, in Georgia e poi in Crimea, di saper usare lo strumento militare per ottenere vantaggi territoriali o politici.

E se i suoi rapporti con l’Occidente sono peggiorati, la colpa è delle sue scelte sempre più autoritarie contro oppositori e difensori dei diritti civili. Anche a costo di contraddirsi, mettendo fuori legge le testimonianze storiche di Memorial proprio mentre tenta di usare la storia a suo favore. Oppure facendo intervenire il patto di mutua alleanza tra sei repubbliche ex-sovietiche per porre fine alla violentissima rivolta in Kazakistan. Dove l’ordine di sparare ha già fatto molte decine di morti, e questo mentre sotto accusa viene messa la Nato.

Al negoziato Usa-Russia che si apre domani a Ginevra, i delegati americani faranno bene a non abbassare la guardia. Ma sarebbe un errore, loro e nostro, credere che Putin voglia soltanto sfruttare una congiuntura internazionale favorevole. Putin, certo, è un nazionalista. La missione che si è dato è quella di restituire alla Russia, sconfitta in quanto erede dell’Urss, almeno una parte della sua passata grandezza. Ma il dopo-guerra fredda è andato in direzione opposta. Uno dopo l’altro dieci Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia o dell’Urss sono stati ammessi nella Nato. Una alleanza che per noi è difensiva, ma che per i russi è un organismo che schiera armamenti offensivi sempre più vicini ai confini della patria.

Nella distanza tra queste due concezioni della Nato risiede forse l’ostacolo più difficile da superare nel negoziato russo-americano. Putin e Biden hanno entrambi le loro «linee rosse». Il capo del Cremlino afferma che un ingresso dell’Ucraina (e della Georgia) nella Alleanza completerebbe l’accerchiamento della Russia e renderebbe impossibile la sua difesa in caso di attacco missilistico. A corredo di questa esigenza centrale vi è poi l’inaccettabile volontà di ricreare una zona d’influenza russa in Europa dell’est, allontanandone la Nato. Biden risponde che gli ucraini devono essere liberi di decidere, e minaccia Putin di sanzioni economiche e finanziarie mai viste finora. Può esistere un compromesso che salvi l’Europa da una guerra ulteriore dopo quella che già si trascina nel Donbass, e che eviti conseguenze irreparabili tra le due potenze nucleari più armate del mondo?

Forse sì, ma a una condizione. Che le richieste troppo arroganti di Putin vengano rispedite al mittente. E che nel contempo venga riconosciuto il diritto della Russia a difendere la sua sicurezza e l’Ucraina non entri nella Nato fino a nuovo ordine. Non accadde la stessa cosa a ruoli invertiti, malgrado le molte diversità tra le due situazioni, quando l’Urss provò a piazzare i suoi missili a Cuba nel 1962? Il compromesso non sarebbe una nuova Yalta. Sarebbe una conferma del documento Nato emesso al vertice di Bucarest del 2008, con qualche tacita garanzia.

Gli europei devono sperare che le armi russe tacciano, mentre gli Usa hanno già detto che non difenderanno militarmente l’Ucraina. La partita che comincia si giocherà sul filo del rasoio. Ma intanto l’assenza dell’Europa in un negoziato che discute della sicurezza europea non può che risultare avvilente. L’ha voluta Putin, ma Biden l’ha accettata.

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