Quando scoppia una guerra in genere ci si divide fra chi invoca una soluzione diplomatica subito e chi la rifiuta. Pacifisti contro militaristi, nella assai discutibile vulgata corrente. La disputa regolarmente termina con la cucitura di un abito di più o meno raffinata sartoria diplomatica disegnato in base agli esiti bellici. Prima si vince o si perde e poi si tratta. Alternativa: le ostilità cessano di fatto per esaurimento delle forze in campo, sicché la linea del fuoco diventa linea armistiziale. Tra guerra e pace esiste insomma una continuità logica e fattuale, almeno finché non prevalga – eminente il caso di Hitler – la follia di un capo e dei suoi seguaci decisi a combattere la guerra per la guerra. Amore della morte. Quale delle due ipotesi di scuola tende oggi a consolidarsi in Ucraina? Premessa: sia la sanzione protocollare della vittoria dei russi o degli ucraini sia l’eventuale cessazione delle ostilità saranno molto probabilmente provvisorie. Infatti il grado di odio e di sangue sparso che si è accumulato nei due campi “fratelli” – due forme dello stesso popolo, a sentire Putin – è tale che chiunque prevalga sul terreno e quindi nella spartizione delle spoglie nemiche si troverà ad affrontare un avversario disposto a battersi nei modi possibili finché non si riprenderà il maltolto, o presunto tale. O finché crollerà schiantato dall’impossibilità delle sue pretese.
Sappiamo che questa guerra è fase di un colossale scontro fra l’impero russo e alcune sue nazioni costitutive non più disposte a soccombere al dettato di Mosca (o San Pietroburgo). Storia dell’ultimo paio di secoli. Per quanto riguarda la nazione ucraina – per cui questa è guerra risorgimentale, battesimo del fuoco dopo l’indipendenza ottenuta per collasso dell’Urss – lo scontro attuale è quindi sequenza del tentativo di emancipazione avviato nel 1917-18 con la nascita di un proprio staterello sotto ombrello tedesco. A noi italiani, come agli altri europei che per tre generazioni si sono cullati nel mito della fine della storia e della pace garantita – sorta di diritto umano, o meglio europeo, non si sa bene da chi deliberato – scavare nelle profondità del conflitto in corso fa venire il mal di testa. Messa mano all’antidolorifico, usiamo la testa risanata per attrezzarci a una disputa destinata a durare. Non sappiamo a quale punto della parabola ci troviamo. Dovremmo però stabilire che possiamo al meglio sperare in una tregua. E che cautela vorrebbe di comunque attrezzarci al peggio.
Mario Draghi sarà oggi a Kiev con Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Autorevole avanguardia dei fautori di una rapida soluzione diplomatica. Tradotto: serve al più presto un cessate-il-fuoco. Per ragioni umanitarie, certo. Ma anche per la convinzione strategica che il tempo giochi per la Russia. E siccome i leader italiani, francesi e tedeschi temono che il prolungamento del conflitto possa mettere in questione i fragili equilibri economici, sociali e politici dei rispettivi paesi, Zelensky sarà pregato di disporsi al negoziato di tregua (nominalmente di pace) prima che sia troppo tardi. Per lui e soprattutto per noi. Naturalmente confermeremo in pubblico che spetta a Kiev decidere se, come e quando negoziare con l’aggressore. Nella sempre più eterogenea famiglia euroatlantica c’è chi parteggia invece per la continuazione della guerra fino alla sconfitta russa. Al minimo, finché Putin non sarà ricacciato nei confini ante-24 febbraio. Capofila di questo schieramento sono Polonia – per convinzione – e Regno Unito – per vocazione identitaria (il Grande Gioco non è mai finito). Sia chiaro: per ottenere questo risultato bisognerebbe non solo armare alla grande gli ucraini – i quali giustamente lamentano il divario oceanico fra armi promesse e armi consegnate – ma schierare sul campo combattenti informali (mercenari) in quantità imponenti. Oppure rischiare la guerra con la Russia schierando forze ufficialmente proprie. Altre vie per la vittoria (o per la catastrofe) non esistono.
La fine di questa fase bellica non sarà però decisa dagli europei dell’una o dell’altra sponda. Lo sarà dal dialogo diretto fra Stati Uniti e Russia. Strettamente riservato. Inutile perdere tempo a interpretare questa o quella pubblica dichiarazione, al massimo indicativa di umori e tendenze, oppure volta a mascherare i termini del negoziato sotterraneo, quando si deciderà di trattare sul serio. Ad oggi si possono solo cogliere una certa stanchezza di guerra da parte americana e una altrettanto evidente presunzione russa di potersi spingere ben oltre il Donbas. L’allineamento delle stelle visibili non promette la cessazione ravvicinata delle ostilità. Poiché le costellazioni astronomiche vere non sono scrutabili dai nostri osservatori, tutto resta possibile. Sola certezza: questo conflitto è di tale spessore che in qualsiasi momento può slittare verso esondazioni incontrollabili. Fa male pensare che possiamo farci poco. Fa peggio pensarsi padroni del gioco.