Gas, rotto il fronte comune: i danni della scelta tedesca

I provvedimenti tampone decisi dal governo di Berlino rischiano di allontanare misure strutturali e più vantaggiose per tutti i Paesi membri come il tetto al prezzo

La mossa decisa dal governo tedesco rischia di avere effetti indesiderati e soprattutto dannosi per l’Europa e a seguire per i Paesi dell’Unione.Quello che nelle intenzioni del governo di Berlino è una dura risposta a Putin rischia di indebolire il fronte europeo. La Germania ha annunciato un piano da 200 miliardi per difendere le aziende e le famiglie tedesche dal caro gas e spingere il prezzo della fonte di energia verso il basso. Cosa che è accaduta nell’immediato ieri, quando il prezzo, pochi minuti dopo l’annuncio del governo tedesco, è sceso a quota 186 euro con un calo del 10 per cento. Ma si tratta di una scelta che può ritorcersi contro tutta l’Europa.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in una conferenza stampa convocata all’improvviso ieri pomeriggio, è stato chiaro sulla manovra intrapresa da Berlino. La Russia — ha detto — continua la sua guerra contro l’Ucraina e utilizza il fatto di essere fornitore di energia all’Occidente come un’arma. Dopo la distruzione dei gasdotti nel Mar Baltico — ha continuato — sappiamo che presto cesserà del tutto l’approvvigionamento di gas alla Germania. Da qui la scelta del governo tedesco di varare un piano da 200 miliardi per l’aiuto ad aziende e famiglie. Per avere un termine di paragone finora il governo italiano ne ha spesi circa 60.

Il meccanismo ideato da Berlino prevede di continuare ad acquistare il gas sul mercato e con i soldi messi a disposizione, attenuare i costi che devono pagare i tedeschi. È chiaro insomma che non è una misura strutturale ma tampone. Come dimostrano, peraltro, anche le parole che hanno accompagnato la scelta. Il freno al prezzo del gas deciso è una chiara risposta a Putin — ha ribadito il ministro delle Finanze Christian Lindner — ma anche una chiara segnalazione al Paese. Noi siamo economicamente forti, e questa forza economica la mobilitiamo quando serve, come adesso.

È per questo che il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, ieri ha richiamato i Paesi a una politica comune. Altrimenti si introdurranno differenze ulteriori tra nazioni che hanno spazi di bilancio, come la Germania, e altri come quelli dell’Est o come l’Italia particolarmente indebitata, che saranno particolarmente penalizzati da scelte dei singoli.

Non solo, la decisione permette a speculazione e mercato di continuare a funzionare come sempre. E quindi anche i 200 miliardi stanziati da Berlino continueranno a gonfiare un mercato artificiale basato non sulla reale disponibilità di gas quanto sulle aspettative finanziarie di pochi e spregiudicati operatori.

Il rammarico per la lentezza dell’Europa sul varare un tetto al gas oggi si sta trasformando in una seria battuta d’arresto del processo comunitario. Danneggiando sul lungo periodo i singoli Paesi membri.

Ormai già un anno fa il governo Draghi e il suo ministro Cingolani proposero un tetto al gas all’Europa. Una mossa del genere varata in nome di quei 450 milioni di cittadini che ancora oggi rappresentano il più appetito mercato di sbocco per tutte le potenze economiche mondiali, avrebbe potuto spezzare il circolo vizioso innescato dalla speculazione. A oggi 15 Paesi si sono convinti della giustezza di quella mossa e hanno inviato una lettera a Bruxelles in questo senso. Ma la mossa tedesca rischia di frenare ulteriormente una decisione che andava presa molto tempo fa.

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