Giorgia Meloni, che ha mostrato di avere piena coscienza degli enormi problemi da affrontare, ora dovrà dimostrare di saper portare l’Italia fuori dalla «tempesta»
Da questo momento Giorgia Meloni sarà attesa alla verifica dei fatti, dovrà dimostrare di saper portare l’Italia fuori dalla «tempesta». Perché è vero che eredita una situazione interna e internazionale di cui non porta responsabilità, ma questo è il tempo che le è dato di vivere da presidente del Consiglio. E nel suo discorso per la fiducia ha mostrato di avere piena coscienza degli enormi problemi da affrontare.
Li ha approcciati con un lessico all’apparenza nuovo e che invece è il tradizionale linguaggio della politica, a cui da molti anni il Parlamento non era più abituato. Si è ancorata a un sano pragmatismo, che è una presa d’atto del principio di realtà. E in questo senso non solo ha messo da parte le parole d’ordine della campagna elettorale ma ha anche messo in riga gli alleati, che avevano già preso a sfogliare il libro dei sogni.
Insomma, Meloni è parsa calarsi subito nel ruolo. Quello cioè di premier di un Paese fondatore dell’Europa, legato saldamente al blocco occidentale, con le responsabilità e gli impegni che deve mantenere. In entrambi i casi si è mossa nei canoni dell’ortodossia: lontana dall’armamentario ideologico del sovranismo, quando ha coniugato l’interesse nazionale e il destino comune del Vecchio Continente; vicina al popolo ucraino e alla sua lotta contro l’invasore russo, quando ha sottolineato che il costo della solidarietà non ha prezzo se sono in gioco la democrazia e la libertà.
Democrazia e libertà sono valori che ha richiamato più volte nel suo discorso, anche per levare dal confronto con le opposizioni i pregiudizi con i quali è stata accompagnata a palazzo Chigi: perché le parole sulle leggi razziali e sul fascismo — e più in generale sull’abisso dei totalitarismi — cercano di accantonare definitivamente le polemiche che hanno preceduto e seguito il giorno delle urne. È sui diritti civili che dovrà tener fede al suo intervento, e su questo sarà misurata. Certo, Meloni è una leader di destra, che non a caso ha rivendicato la sua storia e il suo tratto identitario, ben sapendo di sottoporsi alle critiche degli avversari.
Il punto è che da ieri è presidente del Consiglio di tutti gli italiani e dovrà rappresentarli nel Paese e nel Palazzo. Lì dove chiede alle forze di opposizione di collaborare per una riforma del sistema istituzionale, che deve essere ammodernato. E se è vero che la sfida va accettata da tutti i partiti, per garantire alla politica una macchina più efficiente, è altrettanto vero che le nuove regole non possono essere riscritte solo dalla maggioranza. Altrimenti il progetto rischierebbe di trasformarsi nell’ennesimo fallimento, come ricordano le esperienze precedenti.
Meloni raffigura la novità, con lei si compie una sorta di rivoluzione copernicana, che è sociale prima ancora che politica. La novità non è che la sfavorita abbia vinto, ma che abbia saputo raccogliere il testimone nella lunga marcia intrapresa dalle donne. E i nomi che la premier ha voluto ricordare segnano la storia di un Paese finora incapace di riconoscere appieno il loro ruolo, che ha stentato (e stenta) ad accettare la parità di genere. Il modo in cui la presidente del Consiglio si è posta in Parlamento ha sfatato il tabù: perché il dibattito si è incentrato sulla fisiologica contrapposizione di idee, scevro da formali gentilezze.
Da oggi Meloni sarà chiamata al duro mestiere di governare. E si vedrà come gestirà i dossier, se avrà la capacità di trovare soluzioni, di comporre mediazioni, di evitare passi falsi. A Roma come a Bruxelles nessuno le farà sconti. Di sicuro non ne faranno le opposizioni. Anche se gli ostacoli maggiori per la premier potrebbero venire dall’interno della coalizione di centrodestra, riottosa ad accettare il suo primato e dove c’è chi aspetterà il momento opportuno per tentare di prendersi una rivincita. Chissà se si riferiva anche agli alleati quando — a conclusione del suo discorso — ha detto: «Ho stravolto i pronostici alle elezioni. Intendo farlo ancora».