Record di pioggia. Record di morti. Record di danni. La catastrofe che ha colpito il cuore dell’Europa, un’ampia regione tra Germania, Belgio e Francia, macina primati. La conta dei morti e dei dispersi nel solo Paese di Angela Merkel supera quota mille. Ed è chiaro che la campagna elettorale per la successione della cancelliera più longeva della storia sarà oscurata e dominata dagli incommensurabili danni di questa prevedibile catastrofe naturale. Da Berlino fanno sapere che Merkel si recherà presto nelle aree più colpite dalla tragedia.
Sembra un ossimoro, “prevedibile” e “catastrofe naturale”. Un terremoto o il risveglio di un vulcano non sono prevedibili. Ma da decenni gli scienziati, ormai trasformati da una persistente sordità della politica in moderne cassandre, avvertono che i fenomeni meteorologici estremi, anzitutto le piogge violente e le esondazioni, sono un tipico effetto del surriscaldamento del pianeta dovuto ai danni dell’uomo. Ormai si possono considerare anche responsabilità diretta dell’inerzia dei governi.
Le catastrofi riempiono le pagine della cronaca a intervalli sempre più brevi. Da anni ci siamo abituati a leggere articoli sulle estati più calde della storia, sugli inverni più caldi della storia, sulle tempeste più violente della storia. Ormai siamo talmente assuefatti ai titoli sui disastri che neanche registriamo il nesso tra l’uno e l’altro. Alla vigilia della tragedia che ha colpito la Renania e l’Alsazia, dagli Stati Uniti sono rimbalzate notizie su temperature record nella Death Valley, sui 54 gradi misurati nel deserto della California. E un aereo partito dall’aeroporto di Malpensa è dovuto tornare indietro perché colpito da una raffica di grandine. Le foto del muso d’acciaio del Boeing diretto a New York, sfasciato dai chicchi grandi come palle da tennis mettono i brividi. Sembra un pezzo di cartone.
Nelle stesse ore in cui si verificavano questi fenomeni spaventosi, a Bruxelles andava in scena uno spettacolo sorprendente. Gli sherpa e gli ambasciatori dell’Italia, della Francia e dei “soliti noti”, Polonia e Ungheria, ma anche dell’Austria ormai puntualmente ansiosa di mettersi contro Bruxelles, cominciavano a smontare la risposta europea ai cambiamenti climatici, quel Green Deal che secondo gli ambientalisti è ancora lungi dall’essere una ricetta credibile per combattere seriamente i cambiamenti climatici, ma che la Commissione europea ha messo sul tavolo per porsi, intanto, all’avanguardia nel mondo nella corsa contro il tempo e contro la prevedibile apocalisse climatica.
Nelle stesse ore in cui migliaia di persone venivano spazzate via dai fiumi in piena, gli occhi dei rappresentanti dell’Italia, della Francia, dei Visegrad erano chini sul documento che dovrebbe arginare i danni dei cambiamenti climatici perché ansiosi di ammorbidirne gli obiettivi. Per puri interessi di bottega. Per una “veduta corta”, avrebbe detto Dante. Emmanuel Macron teme le proteste dei gilet gialli quando gli effetti delle tasse sui combustibili vecchi e inquinanti si faranno sentire sul prezzo della benzina. Il presidente francese è più preoccupato per la sua rielezione tra meno di un anno che del destino di milioni di ragazzi che sono scesi in piazza in questi anni con i Fridays For Future perché temono che il pianeta in cui vivono sarà inabitabile nel giro di un paio di decenni.
La Polonia, che insiste sul carbone, teme di perdere la sua principale fonte energetica. E l’Italia? I motivi della sua resistenza risiedono nella stesse, ataviche pigrizie della Polonia. Affondano in decenni di politiche miopi, dettate da interessi di lobby poco propense a intraprendere svolte energetiche e industriali costose ma indispensabili per evitare fenomeni come quelli cui si assiste in questi giorni nel cuore dell’Europa. La Germania ne sa qualcosa: una clamorosa sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe ha accusato il governo di scaricare sulle generazioni future tutto il peso di un’inevitabile correzione delle politiche ambientali. E ha costretto il governo Merkel a una precipitosa riformulazione dei suoi obiettivi. Per non regalare voti ai Verdi, certo, oltretutto in piena campagna elettorale. Ma non sarebbe più saggio ispirarsi a Karlsruhe invece che a Varsavia?